“Io ti fabbricherò”. Tre classici della letteratura per pensare l’educazione - DEASS
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- “Io ti fabbricherò”. Tre classici della letteratura per pensare l’educazione
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I romanzi, come le altre opere narrative, rappresentano dei dispositivi culturali potentissimi per appropriarsi di storie lontane o vicine, le quali permettono di confrontarsi con tematiche e apprendere logiche che non appartengono alla propria esperienza diretta.
Oltre che per il piacere in sé della lettura, dunque, i romanzi rappresentano spesso e volentieri delle opportunità di formazione e di riflessione per chi lavora in ambito socioeducativo: sia per sé, in quanto professionisti dell’educazione, sia come medium da proporre per stimolare la riflessione negli educandi.
Il primo romanzo a cui facciamo riferimento, andando in ordine temporale, è il capolavoro di Mary Shelley: “Frankenstein”. Uscito nei primi decenni dell’Ottocento, racconta la storia che circonda la creazione artificiale della creatura ad opera del dottor Victor Frankenstein. Si tratta di un romanzo che reca in sé una molteplicità di tematiche: quella del rapporto tra la vita e la morte; quella dell’impatto della tecnologia sulla sfera biologico-naturale come iperbole della modernità; quella del rapporto con il mostruoso (tanto inteso come alterità, quanto come umano); ma anche – come ricorda il pedagogista Philippe Meirieu in un interessantissimo volume pedagogico [1] – quella della reinterpretazione della dialettica servo-padrone hegeliana. Il tema del riconoscimento (inteso anche come categoria filosofica) e dell’amore, inoltre, trova uno spazio fondamentale nel romanzo, costituendo un fondamentale elemento di rottura. La creatura, infatti, vivrà delle esperienze in cui sarà costretta ad apprendere come funzionano i rapporti umani e le convenzioni (memorabile, in tal senso, la scena in cui osserva la famiglia dalla finestra) e, con le sue vicende, restituirà tutte le criticità della protervia umana nel fabbricare l’altro come soggetto (da qui il sottotitolo “Il moderno Prometeo”), nel crearlo a propria immagine e somiglianza, per cui teoricamente dotato di libero arbitrio, ma purtuttavia assoggettato al proprio potere.
Il secondo romanzo, grande classico della letteratura dichiaratamente educativa, è “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”, scritto da Carlo Collodi nel 1883. Si tratta di una storia dura, violenta sotto molteplici aspetti, ben lontana dall’edulcorata rappresentazione cartoonesca della Disney del 1940. Una storia dove si esprime tutta la durezza del clima di conformazione sociale e di rettitudine morale auspicata nella società europea (e in particolare italiana) del tardo Ottocento, come desiderio di dare corpo – in questo caso letteralmente – a dei soggetti beneducati e integrati nel processo lavorativo, inclini a seguire i binari prefissati dalla morale religiosa e industriale di quegli anni. Si tratta di una lettura inattuale che, a uno sguardo critico e consapevole degli assetti educativi di quell’epoca storica, permette di comprendere qual era il clima educativo diffuso, nonché di mettere in questione il tema del conformismo imposto per tramite dell’educazione, che anche in questo caso fabbrica il soggetto. Tra i molteplici adattamenti, si segnala la riscrittura fatta da Guillermo del Toro con il suo film d’animazione del 2022, il quale rappresenta un capovolgimento di prospettiva, divenendo una fiaba anticonformista calata negli anni del primo dopoguerra e del successivo avvento del fascismo.
Il terzo romanzo dal valore pedagogico, dove la fabbricazione in questo caso è soltanto metaforica, è il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, pubblicato nel 1886. Si tratta di un romanzo dedicato a bambini e ragazzi, volto a delineare il “buon soggetto” e il “buon cittadino” auspicato per i tempi che correvano. La narrazione segue le vicende di Enrico Bottini lungo il corso dell’anno scolastico 1881-1882, facendo corrispondere a ogni mese un capitolo. Nell’opera si ha accesso al diario di Enrico, di estrazione sociale borghese, che descrive delle storie connesse a esperienze scolastiche; le lettere che i genitori gli indirizzano e i racconti del maestro elementare. Anche in questo caso, l’intento è ispirare una rettitudine morale volta a educare le generazioni di lettori a un conformismo rispetto all’amore per la patria; alla deferenza nei confronti dell’autorità scolastica, statale e genitoriale; e alla trasmissione dei valori connessi all’impegno, al sacrificio e al valore civile. Un dato interessante consiste nella lettura critica e storicamente collocata di un romanzo che, evidentemente, oggi sarebbe quasi impossibile scrivere, come ricorda Sergio Tramma [2], poiché nella contemporaneità sono venuti meno dei modelli di “buon cittadino” (e anche di “buona cittadina”, si dovrebbe almeno aggiungere oggi, marcando un significativo cambiamento nei tempi che corrono) chiari, condivisi e identificabili. Sebbene questo non costituisca di per sé un male rispetto al conformismo borghese ottocentesco, anzi, ciò nondimeno si tratta di una questione che deve interrogare da vicino chi si occupa di educazione, in particolare rispetto all’età giovanile e al percorso verso l’adultità.
Oltre che per il piacere in sé della lettura, dunque, i romanzi rappresentano spesso e volentieri delle opportunità di formazione e di riflessione per chi lavora in ambito socioeducativo: sia per sé, in quanto professionisti dell’educazione, sia come medium da proporre per stimolare la riflessione negli educandi.
Il primo romanzo a cui facciamo riferimento, andando in ordine temporale, è il capolavoro di Mary Shelley: “Frankenstein”. Uscito nei primi decenni dell’Ottocento, racconta la storia che circonda la creazione artificiale della creatura ad opera del dottor Victor Frankenstein. Si tratta di un romanzo che reca in sé una molteplicità di tematiche: quella del rapporto tra la vita e la morte; quella dell’impatto della tecnologia sulla sfera biologico-naturale come iperbole della modernità; quella del rapporto con il mostruoso (tanto inteso come alterità, quanto come umano); ma anche – come ricorda il pedagogista Philippe Meirieu in un interessantissimo volume pedagogico [1] – quella della reinterpretazione della dialettica servo-padrone hegeliana. Il tema del riconoscimento (inteso anche come categoria filosofica) e dell’amore, inoltre, trova uno spazio fondamentale nel romanzo, costituendo un fondamentale elemento di rottura. La creatura, infatti, vivrà delle esperienze in cui sarà costretta ad apprendere come funzionano i rapporti umani e le convenzioni (memorabile, in tal senso, la scena in cui osserva la famiglia dalla finestra) e, con le sue vicende, restituirà tutte le criticità della protervia umana nel fabbricare l’altro come soggetto (da qui il sottotitolo “Il moderno Prometeo”), nel crearlo a propria immagine e somiglianza, per cui teoricamente dotato di libero arbitrio, ma purtuttavia assoggettato al proprio potere.
Il secondo romanzo, grande classico della letteratura dichiaratamente educativa, è “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”, scritto da Carlo Collodi nel 1883. Si tratta di una storia dura, violenta sotto molteplici aspetti, ben lontana dall’edulcorata rappresentazione cartoonesca della Disney del 1940. Una storia dove si esprime tutta la durezza del clima di conformazione sociale e di rettitudine morale auspicata nella società europea (e in particolare italiana) del tardo Ottocento, come desiderio di dare corpo – in questo caso letteralmente – a dei soggetti beneducati e integrati nel processo lavorativo, inclini a seguire i binari prefissati dalla morale religiosa e industriale di quegli anni. Si tratta di una lettura inattuale che, a uno sguardo critico e consapevole degli assetti educativi di quell’epoca storica, permette di comprendere qual era il clima educativo diffuso, nonché di mettere in questione il tema del conformismo imposto per tramite dell’educazione, che anche in questo caso fabbrica il soggetto. Tra i molteplici adattamenti, si segnala la riscrittura fatta da Guillermo del Toro con il suo film d’animazione del 2022, il quale rappresenta un capovolgimento di prospettiva, divenendo una fiaba anticonformista calata negli anni del primo dopoguerra e del successivo avvento del fascismo.
Il terzo romanzo dal valore pedagogico, dove la fabbricazione in questo caso è soltanto metaforica, è il libro “Cuore” di Edmondo De Amicis, pubblicato nel 1886. Si tratta di un romanzo dedicato a bambini e ragazzi, volto a delineare il “buon soggetto” e il “buon cittadino” auspicato per i tempi che correvano. La narrazione segue le vicende di Enrico Bottini lungo il corso dell’anno scolastico 1881-1882, facendo corrispondere a ogni mese un capitolo. Nell’opera si ha accesso al diario di Enrico, di estrazione sociale borghese, che descrive delle storie connesse a esperienze scolastiche; le lettere che i genitori gli indirizzano e i racconti del maestro elementare. Anche in questo caso, l’intento è ispirare una rettitudine morale volta a educare le generazioni di lettori a un conformismo rispetto all’amore per la patria; alla deferenza nei confronti dell’autorità scolastica, statale e genitoriale; e alla trasmissione dei valori connessi all’impegno, al sacrificio e al valore civile. Un dato interessante consiste nella lettura critica e storicamente collocata di un romanzo che, evidentemente, oggi sarebbe quasi impossibile scrivere, come ricorda Sergio Tramma [2], poiché nella contemporaneità sono venuti meno dei modelli di “buon cittadino” (e anche di “buona cittadina”, si dovrebbe almeno aggiungere oggi, marcando un significativo cambiamento nei tempi che corrono) chiari, condivisi e identificabili. Sebbene questo non costituisca di per sé un male rispetto al conformismo borghese ottocentesco, anzi, ciò nondimeno si tratta di una questione che deve interrogare da vicino chi si occupa di educazione, in particolare rispetto all’età giovanile e al percorso verso l’adultità.
[1] Meirieu P. (2007), Frankenstein educatore, Junior, Parma.
[2] Tramma S. (2015), Pedagogia della contemporaneità. Educare al tempo della crisi, Carocci, Roma, pp. 120-124.
[2] Tramma S. (2015), Pedagogia della contemporaneità. Educare al tempo della crisi, Carocci, Roma, pp. 120-124.